venerdì 29 novembre 2013

Corso di Rilassamento Progressivo di Jacobson_ Incontro informativo gratuito.



Molto spesso l’ansia e il disagio che sperimentiamo sono associati

ad un aumento della tensione muscolare, che si può localizzare in diversi punti specifici del corpo.

La partecipazione al corso permette di imparare a riconoscere e conseguentemente attenuare questa tensione attraverso l’utilizzo del Rilassamento Progressivo di Jacobson, metodo elaborato negli Anni ’30, che prevede l’esecuzione di una serie di esercizi. In tempi piuttosto brevi. Con la pratica costante si possono eliminare diversi disturbi, come la cefalea muscolo – tensiva.


Il corso base che propongo prevede CINQUE INCONTRI della durata di un’ora ciascuno, a cadenza settimanale presso: 

Studio di Psicologia e Psicoterapia
via Spano, 6/5 – Torino


Nel mese di gennaio sarà possibile partecipare ad un incontro gratuito  di informazione e presentazione del corso.


Il giorno e l’ora dell’incontro informativo corrisponderanno a quello in cui verrà successivamente eseguito il corso.


Per partecipare è necessaria la prenotazione:


Dott.ssa Elisabetta Loi _ giovedì 16 gennaio 2014  dalle 18 alle 19


Cell. +39 340.58.78.583 – loi@studiopsicologia.torino.it


martedì 26 novembre 2013

A.D.H.D, Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività


Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, ADHD, è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo che comprende difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Questi problemi insorgono dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento rispetto al trascorrere del tempo, agli obiettivi da raggiungere e alle richieste ambientali.  Circa il 4% della popolazione pediatrica è affetta dalla Sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Il disturbo si manifesta nella prima infanzia principalmente con due classi di sintomi: un evidente livello di disattenzione e una serie di comportamenti che denotano iperattività e impulsività.                                              
L’ADHD non può essere considerato né una fase normale dello sviluppo del bambino né il risultato di una disciplina educativa non efficace, l’ADHD è un vero problema per il bambino, per la famiglia e per la scuola che si trovano impreparati a gestire il comportamento del piccolo.
I sintomi associabili alla disattenzione si ritrovano soprattutto in bambini che, rispetto ai propri coetanei, presentano evidenti difficoltà a mantenere l’attenzione e a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo prolungato. I bambini non riescono a seguire le istruzioni, sono disorganizzati e distratti nello svolgere le varie attività, non riescono a concentrarsi e a svolgere i compiti in modo ordinato passando da un’attività all’altra senza portarne a termine nessuna.
I bambini con disturbo ADHD parlano senza controllare l’intensità della voce, interrompono persone che parlano, giocano in modo molto rumoroso; genitori e insegnanti li descrivono come sempre in movimento e incapaci di aspettare il proprio turno. La reazione delle altre persone davanti al comportamento del bambino iperattivo è inizialmente quella d’ignorare l’irrequietezza, le frequenti interruzioni dei discorsi degli adulti e l’infrazione delle comuni regole sociali; ci sarà poi il tentativo di mettere esse stesse un freno all’eccessiva “esuberanza” del bambino, non riuscendoci concluderanno che il bambino sia maleducato e che sarebbe necessaria una maggiore disciplina e qualche punizione.
Da diversi anni i ricercatori che si occupano di ADHD hanno iniziato ad evidenziare sintomi e cause ed hanno scoperto che il disturbo potrebbe avere una causa genetica. Attualmente si sta chiarendo che l’ADHD non è un disturbo dell’attenzione in sé, ma nasce da un difetto evolutivo nei circuiti cerebrali che sono alla base dell’autocontrollo e dell’inibizione. Questa mancanza di autocontrollo pregiudica di conseguenza altre funzioni cerebrali necessarie al mantenimento dell’attenzione tra le quali la capacità di posticipare la gratificazione immediata in vista di un successivo e maggiore vantaggio.
L’ADHD non è un problema raro, ma risulta essere, nell’ambito  dei problemi di condotta, una delle principali problematiche che  non si risolve con l’età; contrariamente a quanto si riteneva un tempo la sindrome può persistere in età adulta, i sintomi migliorano perché il bambino crescendo impara a gestirli e con l’aiuto delle figure di riferimento, psicologi, medici, insegnanti…ha buone probabilità di diventare un adulto sano ed equilibrato.                                           
Le aree di intervento includono: la diminuzione dell’impulsività e l' aumento della gestione della collera, l'insegnamento di tecniche non aggressive nella risoluzione dei problemi,  il miglioramento della stima di sé stessi, rendere più serene  le relazioni tra pari, per le quali può essere indicato un training per le abilità sociali. 
Il trattamento ideale per l’ADHD è di tipo multimodale, cioè un trattamento che implica il coinvolgimento di scuola, famiglia e bambino stesso.

venerdì 15 novembre 2013

DSA...conoscerli e riconoscerli per affrontarli!!

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono un gruppo eterogeneo di disturbi che si manifestano
nell'acquisizione delle abilità scolastiche e che interessano uno specifico dominio di abilità (lettura, scrittura, calcolo) in modo importante ma circoscritto lasciando il funzionamento intellettivo generale intatto. Fondamentale per formulare una diagnosi di DSA è il criterio della discrepanza tra le abilità nel dominio interessato (deficitaria in rapporto alle attese per l’età e la classe frequentata) e l’intelligenza generale che risulta adeguata per l’età  cronologica.

Per discrepanza si intende:
_ la compromissione significativa di un’abilità specifica;
_ il livello intellettivo generale deve risultare nella norma rispetto ai valori attesi per l’età;

I DSA sono disturbi di origine neurobiologica e possono essere variamente articolati. Dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia rendono piuttosto difficoltoso il percorso scolastico del bambino.     Già dall’età prescolare, tra i tre i cinque anni quindi, è possibile iniziare ad osservare se il bambino manifesta delle difficoltà che potrebbero poi evolvere in dsa: in questa fascia d’età ci sono alcune abilità specifiche, i cosiddetti prerequisiti, che i bambini dovrebbero aver acquisito, e sono:
  • Abilità di tipo esecutivo ovvero competenze relative alla scrittura: come esegue il segno grafico, com’è la coordinazione visuo-motoria e la capacità d’orientamento nello spazio (il muoversi e la capacità di gestire lo spazio nel foglio);
  • Abilità di tipo costruttivo il bambino deve cioè, prima di imparare a leggere e scrivere, sapere quanti e quali elementi costituiscono la parola, come sono ordinati e come si rappresentano.


Questi pre-requisiti che dovrebbero essere interiorizzati dal bambino in età prescolare riguardano quattro ambiti specifici:

1.     Linguaggio e abilità fonologiche e metafonologiche: articolazione dei suoni che costituiscono le parole, denominazione di figure e oggetti comuni, strutturazione di frasi composte da soggetto/verbo/complemento, racconto di un evento vissuto, individuazione di parole che iniziano con la stessa lettera…
2.   Coordinazione: impugnatura corretta della matita, colorazione di disegni, non presentare una marcata goffaggine, non presentare difficoltà marcate nella motricità fine.
3. Tempi di reazione: rispondere ad una richiesta in tempi non eccessivamente lunghi.
4.     Memoria: riuscire a ricordare il proprio indirizzo, la propria età, il nome dei compagni e amici di classe, ricordare dove ha messo un oggetto, ricordare semplici istruzioni.

La Dislessia è una difficoltà a leggere in modo corretto e fluente, ma anche nella comprensione dei testi e dei numeri e nella memorizzazione, può essere di grado lieve, medio o severo.
 Ci sono due tipi di dislessia (definizione della Orton Dyslexia Society, 1977):
  • la dislessia evolutiva si manifesta in età scolare, nei primi anni in cui inizia l’apprendimento scolastico; è di natura genetica e congenita, è un disturbo specifico su base linguistica, caratterizzata da difficoltà nella decodifica di parole singole non attribuibile a un disturbo generalizzato dello sviluppo o a una menomazione sensoriale.
  • la dislessia acquista che si manifesta prevalentemente negli adulti e si instaura in seguito a lesioni che provocano difficoltà nella normale abilità di lettura o in aspetti ad essa collegati.


Un disturbo della letto scrittura isolato può comportare difficoltà in matematica, più o meno importanti a seconda del grado di dislessia e della classe frequentata dal bambino.
Un bambino con dislessia non ha un rapporto “naturale” con l’apprendimento che avviene attraverso l’uso della parola: per imparare ai bimbi con dislessia non basta l’ascolto, necessitano di spiegazioni che utilizzino l’esempio concreto e la sperimentazione. I bambini con dislessia spesso hanno presentato difficoltà di linguaggio nei primi tre anni di vita: bambini che hanno iniziato a parlare intorno ai due anni, bambini che hanno imparato a parlare intorno al primo anno, ma che poi hanno mantenuto un linguaggio povero o non hanno mai pronunciato bene le parole.  L’utilizzo del linguaggio è alla base delle attività scolastiche ed è per questo che in alcuni casi i problemi di dislessia sembrano “nascere” durante gli anni della scuola Primaria, in realtà, la scuola mette in evidenza problematiche già presenti.
Il bambino con dislessia, di solito, anche quando parla tende ad utilizzare parole diverse tra loro credendo significhino la stessa cosa, dimostra poco interesse a parlare in maniera corretta e fatica a imparare il linguaggio specifico delle varie materie. Non memorizza con facilità parole nuove ed è più lento a ricordare l’alfabeto oppure non lo impara del tutto. Quando ascolta, il bambino può non comprendere del tutto il senso di ciò che viene detto, è come se il modo di parlare altrui risultasse troppo complesso, soprattutto se ci sono pochi esempi legati al contesto reale nel discorso.
L’ascolto di un racconto che viene letto da qualcuno invece è diverso rispetto all’ascoltare un discorso. Il racconto ha un ritmo ed una punteggiatura che lo ordinano e quindi ne facilitano la comprensione.

La Disgrafia è un disturbo non verbale che coinvolge la scrittura di parole e di numeri e l’uso del segno grafico in misura lieve, media o severa. Il bambino con disgrafia spesso risulta impacciato anche nello svolgere compiti di motricità fine, può essere poco organizzato nella gestione del materiale e nel lavoro da svolgere in autonomia, anche intorno ai 10 o 11 anni. Il bambino con disgrafia può avere difficoltà nella scrittura dei numeri e nell’incolonnamento di cifre anche in assenza di altri disturbi. Questi bimbi si trovano in difficoltà anche quando devono disegnare figure o grafici: fanno molta fatica e si rendono conto che il risultato del lavoro a livello estetico è scadente.  La prestazione sul piano grafico può migliorare nel tempo solo grazie all’intervento di figure esperte.

La Discalculia è il disturbo nell’apprendimento del sistema dei numeri e dei calcoli, essa si presenta associata alla dislessia anche se, in casi piuttosto rari, si manifesta in modo isolato nei bambini.
Con il termine Discalculia si fa riferimento ad un disturbo specifico del sistema numerico e di calcolo in assenza di lesioni neurologiche e di problemi cognitivi più generali; si manifesta quindi nonostante un’istruzione normale, un’intelligenza adeguata, un ambiente culturale e familiare favorevole. La Disgrafia comprende difficoltà nell’acquisizione di abilità semplici come la scrittura e la lettura dei numeri e il sistema di calcolo (la memorizzazione delle tabelline, l’esecuzione di procedure di calcolo…)

La discalculia si suddivide in:
  •  discalculia primaria, cioè il  disturbo delle abilità numeriche ed aritmetiche;
  •  discalculia secondaria che si presenta in associazione ad altri problemi nell'apprendimento, quali dislessia, disgrafia…


I bambini discalculici commettono più frequentemente errori nell'identificazione dei numeri e nella loro scrittura, nel riconoscere le unità che compongono un numero, nell'identificare i rapporti fra le cifre che compongono il numero, nello scrivere i numeri sotto dettatura, nel numerare progressivamente, nello svolgere le quattro operazioni matematiche, nell'associare ad una quantità il numero corrispondente, nell'imparare il significato dei segni, nell'imparare le regole dei calcoli, nell'organizzazione spazio-temporale e visuo-spaziale, nello svolgere compiti in sequenza… .



La vita scolastica di chi presenta un Disturbo dell’Apprendimento può essere piuttosto difficoltosa a scuola come a casa. Per affrontare i DSA al meglio è importante e necessario che la diagnosi sia fatta tempestivamente (indicativamente dalla seconda, terza elementare) e che vengano conseguentemente attivati tutti gli aiuti utili e poi è fondamentale ci sia un lavoro sinergico tra gli specialisti, la scuola e le famiglie.

domenica 3 novembre 2013

SONO PICCOLO MA……………………………………..MI STRESSO ANCH’IO!!!

Stress”, oggi un termine di cui si abusa, comprende una serie di sintomi fisici e stati emotivi che hanno effetti sulla salute fisica e sul benessere psichico dell’individuo. Fino a non molto tempo fa si riteneva che lo stress interessasse solo ed esclusivamente gli adulti, successivamente poi diversi studi hanno dimostrato che lo stress appartiene sempre di più anche ai bambini che spesso presentano malattie e problemi emotivi riconducibili ad esso; lo chiamano oggi “stress infantile”, nonostante non esista ancora nessuno studio specifico in materia, colpisce bambini di ogni età, città ed estrazione sociale..
Mentre gli adulti in genere possiedono gli strumenti  per far fronte alle eccessive richieste provenienti dall’ambiente esterno i bambini, al contrario, non hanno gli strumenti per adattarsi allo stress. 
Lo stress si manifesta in modi diversi e ogni bambino presenta una costellazione di sintomi individuale; alcuni bambini si adeguano facilmente a tabelle di marcia serrate e ad intense competizioni scolastiche o sportive, altri tendono, invece, ad abbattersi per eventi di portata minore  come un brutto voto (Sullivan, 2002).  Molti bambini oggi manifestano malattie adulte legate allo stress come depressione e incapacità a far fronte alle difficoltà della vita quotidiana; i piccoli non sono in grado di dare un nome a ciò che provano e così spesso i sintomi vengono classificati come semplici malesseri o problemi emotivi. Riconoscere i sintomi non è facile per un genitore impreparato poiché possono essere facilmente confusi con comportamenti tipici dell’infanzia. I segnali fisici che possono, in certi casi, far scattare un campanello d’allarme ci sono dolori addominali ingiustificati, improvvisi mal di testa, problemi con il sonno, tics, episodi improvvisi di balbuzie…tutti questi sintomi sono spesso associati, sul piano psicologico, ad una progressiva perdita di fiducia in se stessi, a difficoltà scolastiche e/o nel rapporto con i coetanei.
Quali sono le principali cause di stress per i piccoli? Tra le principali cause viene generalmente indicata la scuola con la paura di non essere all’altezza, la paura di non venire accettati dai compagni…, ci sono poi tutta una serie di difficoltà e problemi quotidiani come le discussioni con mamma e papà, i numerosi ed eccessivi impegni giornalieri a cui i nostri bimbi devono sempre più far fronte, la tendenza dei genitori a sopravvalutare le capacità dei propri figli e la conseguente tendenza a pretendere da loro più di quanto essi siano in grado effettivamente di fare con il rischio di farli sentire inadeguati nella maggior parte delle situazioni che sono costretti ad affrontare.
Per riuscire ad affrontare quello che può essere definito un problema per l’infanzia la cosa migliore è, forse, cercare di comprendere quali potrebbero essere le cause che provocano quell’attanagliante sensazione d’angoscia nel bambino e intervenire, per iniziare, su quelle ricordandosi che i bambini non sono e non vanno quindi trattati come piccoli uomini e che esercitare su di loro pressioni eccessive (a scuola, nello sport, a casa, nel rapporto con gli altri) è controproducente e sul lungo periodo può diventare dannoso.